Oggi la calce rappresenta, con una produzione mondiale annua totale di oltre 300 milioni di tonnellate, uno dei prodotti chimico / industriali a maggiore diffusione al mondo.
Ma la sua storia risale agli albori della storia dell’Uomo sulla Terra.
Si suppone che la scoperta della calce, da parte dell’uomo preistorico sia stata coeva alla scoperta di altri leganti naturali, quali l’argilla ed il gesso, ed antecedente alla scoperta dei metalli a causa delle più basse temperature a cui avviene la sua cottura.
Si può ragionevolmente supporre che la scoperta avvenne casualmente notando che, in alcune aree geografiche, ponendo alcune pietre intorno al fuoco, queste, a contatto con il fuoco, modificavano la loro struttura trasformandosi in polvere e quindi, se unite all’acqua, divenivano un impasto plastico, che asciugandosi successivamente perdeva la sua plasticità e ritornava ad avere la rigidità della pietra originaria.
La scoperta dei leganti è da considerare come un passo molto importante nell’evoluzione umana, poiché è stata una delle prime opportunità per l’uomo di modificare la natura a suo vantaggio.
Le prime evidenze storiche dell’uso sistematico della calce o di composti a base di calce e gesso da parte dell’uomo sono state trovate dagli archeologi:
Al Cairo (Egitto) la calce è stata utilizzata per la costruzione strutturale della piramide di Cheope, calce mescolata con gesso è stata impiegata per realizzare l’intonaco sul quale sono stati dipinti i geroglifici, e perfino la chiusura della porta della camera tombale risulta eseguita con pietre e malta a base calce (2500 A.C.).
All’anno 1000 A.C. risale invece la costruzione delle mura di Gerico (23 Km da Gerusalemme) per proteggere la città dai nemici, mura che la Bibbia ci riferisce essere state distrutte dagli Ebrei quando si installarono nella Terra Promessa.
Nel periodo in cui l’utilizzo della calce si diffondeva in Italia ad opera dei Romani e in numerose altre parti del mondo, anche molto lontane tra di loro, sono stati trovati manufatti umani coevi realizzati con l’utilizzo della calce, si ricorda a riguardo in America centrale le piramidi ed i palazzi Maya ed Incas, in Cina la grande muraglia della dinastia Chin nel 228 A.C., in India e Mongolia numerosi templi e case private.
Pur essendo l’uso della calce da parte dei Romani più tardo, i primi utilizzi noti sono stati l’acquedotto e la strada Appia risalenti al 300 A.C., in realtà dobbiamo alla civiltà romana la codificazione della calce, delle modalità del suo uso e della sua produzione.
Empedocle, poeta e scienziato della magna Grecia, vissuto tra il 482 e il 426 A.C. nella città Siciliana di Agrigento, nel suo libro ”della natura“ descrive numerosi fenomeni naturali e per primo descrive il “ciclo della calce”. Empedocle scrive: “c’è del magico nel raccogliere un sasso dalla terra, demolirlo con il fuoco, modellarlo con l’acqua e con l’ingegno dell’uomo per riottenere con l’aiuto dell’aria un solido duro come la pietra iniziale“.
A causa della geologia prevalente del loro territorio, i Romani, nella fase iniziale dell’utilizzo della calce, conoscevano esclusivamente le proprietà delle calci aeree (calci in grado di fare presa utilizzando l’aria) mescolate con sabbia.
Ben presto però, i Romani, importarono dai Greci e dai Fenici la tecnologia della preparazione dei leganti idraulici (leganti a base calce che fanno presa con l’acqua). I leganti idraulici erano ottenuti, dai Greci e Fenici, mescolando la calce aerea con sabbie vulcaniche provenienti dalle isole di Santos e Thera (oggi Santorini).
Questi tipi di materiali miscelati con la calce aerea consentivano prestazioni, in termini di resistenza, maggiori rispetto a quelli ottenuti con calce aerea miscelate a sabbia “pulita“ ed inoltre consentivano alla malta di fare presa anche sott’acqua consentendo pertanto la realizzazione di porti e ponti con parti immerse in acqua.
Per la produzione delle loro malte idrauliche, i Romani, utilizzarono prevalentemente i depositi di pozzolana, [terra vulcanica nelle vicinanze della città di Pozzuoli (Napoli)], è dal nome di questa città che deriva il nome, ancora oggi usato, di “cemento pozzolanico“.
I Romani, importarono probabilmente dalla civiltà Minoica di Creta, la tecnica di produrre malte con caratteristiche idrauliche miscelando la calce con mattoni, tegole e vasi macinati o frantumati (coccio pesto).
La leggenda racconta che la Roma antica si era insediata su sette colli, ma i Romani durante la loro storia, realizzarono artificialmente l’ottavo colle, il colle del Testaccio.
Il trasporto di tutti i prodotti alimentari, ai tempi dell’Impero, avveniva utilizzando anfore di terra cotta del peso di circa 30/40 Kg. ognuna che una volta svuotate del contenuto avevano il problema di essere sanificate e stoccate.
I Romani iniziarono a stoccare le anfore vuote, in prossimità del porto fluviale del fiume Tevere, le anfore venivano ricoperte di calce per prevenire la fermentazione e la putrefazione dei residui alimentari che causavano miasmi.
Nel corso dei secoli, questo stoccaggio di anfore, ha raggiunto un’altezza di 80 mt. creando così l’ottava collina di Roma. Grazie alla reazione tra calce ed argilla, questa nuova collina ha assunto una struttura talmente stabile che ai giorni d’oggi è ormai completamente edificata da edifici moderni.
Con l’espandersi dell’impero, i Romani, esportarono in tutta Europa la tecnologia della produzione della calce. Era usuale che quando le legioni Romane si insediavano in nuovi territori, realizzassero in prossimità del campo militare una fornace da calce per poter avere sempre disponibile tale materiale per la realizzazione di acquedotti, strade, porti, per la sanificazione, per l’agricoltura, per la concia delle pelli e per uso medicale.
La tecnologia della calce dei Romani raggiunse un tale livello tecnologico che nell’anno 27 A.C. poterono realizzare la cupola del Pantheon di Roma che, con i suoi 43 mt. di diametro, è restata la più grande cupola mai realizzata dall’uomo fino al XX secolo.
Grande fu il lavoro svolto da alcuni autori Romani per diffondere il buon uso della calce creando una “normativa“ per la sua produzione, invecchiamento e utilizzo.
Il primo testo noto in tale senso è il “De Architectura”, un‘opera in dieci volumi scritta da Marco Vitruvio Pollione nel 13 A.C. La monumentale opera di Vitruvio tratta moltissimi aspetti della produzione e dell‘utilizzo della calce, è sorprendente come alcune note, contenute nel testo, trovino ancora riscontro nella vita quotidiana dei produttori od utilizzatori della calce oggi.
Citiamo qui di seguito solo una di queste note, poiché ci sembra alquanto emblematica. A riguardo della preparazione del grassello citando Vitruvio: “Quando verrà fatta la macerazione, e diligentemente preparata per l’opera, si prenda un’ascia e come si fende la legna, così si faccia alla calce macerata nella vasca: se con l’ascia si incontrano sassolini non sarà ben macerata, se si estrarrà fuori il ferro asciutto e netto, indicherà essere la calce magra e secca, se poi rimarrà attaccata intorno al ferro a guisa di glutine, indicherà essere grassa e ben macerata e sarà ciò prova più che sufficiente per crederla ben macerata”.
Provate oggi a chiedere a un tecnico che si occupa di produzione del grassello di calce come si può riconoscere un buon grassello senza ricorrere a prove di laboratorio, potrete notare che la risposta è esattamente quella data da Vitruvio 2000 anni fa!
Anche Plinio il Vecchio (23 – 79 D.C.) riprende le esperienze di Vitruvio, di cui era un estimatore, approfondendo nel suo libro “Naturalis Historiae” alcuni aspetti specifici relativi all’ingegneria per la costruzione dei forni da calce. Plinio riprende e cita, nel suo testo, la codifica delle modalità costruttive dei forni da calce basandosi su quanto era stato stabilito in quei tempi dalla corporazione dei “calcis cocitores” (cuocitori di calce) in Roma.
Nel 75 D.C. il medico greco Descor riferisce l’utilità dell’uso dell’acqua di calce satura per combattere i dolori di stomaco (acidità).
Sant’Agostino Vescovo (354 – 430 D.C.) nato ad Algeri, noto ai più come uno dei principali teologi della chiesa cristiana, era anche uno stimato ingegnere civile e riprese e migliorò le metodologie costruttive già riportate da Vitruvio e Plinio.
La caduta dell’Impero Romano e l’inizio del Medio Evo portò ad una perdita del “sapere della calce” tanto coltivato dai Romani.
In questo periodo storico, la qualità della calce e dei manufatti diviene molto scadente, molte delle vestigia di questo periodo sono andate perse, logorate dal tempo e dalle intemperie poiché spesso “mal costruite”.
I forni da calce realizzati in muratura e con alcune “astuzie” tecnologiche durante il periodo dell’Impero Romano, lasciano ora posto a delle rudimentali fornaci provvisorie (forni campestri) che erano poco più che buchi nel terreno attorniati da mura di pietra.
Le notizie storiche che si hanno della produzione e dell’utilizzo della calce in questo periodo ci lasciano pensare che si sia regrediti di 1.500 anni.
Anche in Inghilterra ed in Francia il periodo dei Sassoni e dei Normanni (450 – 1.150 D.C.) corrisponde a un periodo di forte decadimento della tecnica delle costruzioni e della produzione della calce.
E’ però nel Medio Evo che alcuni alchimisti scoprono come mescolando la calce con la cenere di legna sia possibile causticizzare il carbonato di potassio per produrre una forma di lisciva che è alla base per la produzione del sapone.
Shakespeare menziona nelle sue opere come nel 1217 la calce era usata dagli Inglesi per lanciarla contro i nemici Francesi dando l’avvio alla prima forma di guerra chimica della storia.
Alcuni autori ci dicono come nel corso dei secoli IX, X, XI, in Inghilterra e Francia si era persa ogni conoscenza dell’utilizzo corretto della calce e delle malte.
Oggi, l’analisi delle malte utilizzate per l’edificazione in questo periodo storico ci portano ad evidenziare come spesso le sabbie erano utilizzate “sporche”, non selezionate, mal miscelate e l’utilizzo delle malte idrauliche o del coccio pesto erano completamente spariti.
In Europa, la situazione “calce” inizia a migliorare solo nel XII secolo e prosegue fino al XIV secolo quando l’avvento dell’Illuminismo portò alla traduzione dal latino dei testi classici di Vitruvio e Plinio, riscoprendo le metodologie costruttive e produttive citate da tali autori.
Nel secolo XVII, in occasione dei grandi lavori d’ingegneria idraulica realizzati per la costruzione della reggia di Versailles alcuni studiosi francesi come De La Faye, Lariot ed altri, riprendono lo studio delle tecnologie romane che consentivano la realizzazione di edifici stabili e duraturi nel tempo.
Jean Rondelet nel 1805 pubblicò un autorevole libro intitolato “Trattato dell’arte di edificare” in cui analizzava e cercava di spiegare le ragioni delle prestazioni ottenute con le malte dai Romani attribuendo in particolare tale merito più che alla calce in sé alle condizioni con cui questa veniva utilizzata, la cura della composizioni degli inerti, la miscela e la costipazione della massa.
Solo negli anni seguenti, con lo sviluppo delle scienze, le intuizioni empiriche di Rondelet trovarono conferma e riscontro scientifico.
A metà del 1700 avviene un importante passo per il mondo della calce, per primo Josef Blank dell’università di Glasgow e poi il fisico Lavoisier isolarono e identificarono la CO2, iniziando a dare una veste scientifica ai processi di decarbonatazione del calcare e ricarbonatazione della calce.
In questi primi anni della chimica moderna il processo di decarbonatazione grazie alla sua semplicità attirò l’interesse di molti scienziati che cercarono di comprenderne i segreti.
Nel 1766 De Romecourt pubblicò un dettagliato studio intitolato “l’arte della cottura della calce”, in cui per primo, dai tempi dell’Impero Romano, cercò di descrivere gli aspetti ingegneristici ed economici del processo di cottura industriale della calce.
Nel 1818 il francese Vicat, per primo stabilisce i principi razionali per la produzione della calce idraulica moderna.
Nel 1867 Debray misura le pressioni di dissociazione del carbonato di calcio, misure riprese in seguito in modo ancora più accurato da Le Chatelier nel 1886.
Nel 1935 Searle descrive in un testo la tecnologia e i principali aspetti costruttivi di 40 tipologie di forni noti.
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